IL LAVORO NON MANCA, LE COMPETENZE SI LA CARENZA DI RISORSE E' SCENTIFICA
Un bellissimo articolo tratto da " IL SETTIMANALE" a firma di Laura Siviero, fotografa in maniera perfetta la situazione nel mondo del lavoro e quindi quanto sia importante per le aziende poter disporre dei giusti strumenti di valutazione e dei professionisti, con le giuste competenze che possano supportare il personale nei percorsi di crescita.....
Il lavoro non manca in Italia a leggere i dati, le imprese offrono contratti sempre più spesso a tempo indeterminato, ma sono i candidati che continuano a scarseggiare, dagli artigiani ai tecnici, soprattutto abili nelle Stem (science, technology, engineering and mathematics). E tra quelli che si presentano, per il 12%, non sono preparati. Un trend noto ormai, che dà filo da torcere alle Pmi, su cui non si è ancora trovata una sintesi con la politica per allineare i percorsi formativi alle esigenze del mondo del lavoro. La riforma dell’istruzione e della formazione tecnica e professionale è avviata ma partirà solo nel 2024 e limitatamente a una fase sperimentale.
Quali figure serviranno nei prossimi cinque anni?
Le aziende sono a caccia di diplomati con formazione tecnica e laureati in materie scientifiche. A fronte di un fabbisogno di 3,7 milioni di nuovi profili professionali (stimato per il periodo 2023-2027 dall’Ufficio Studi Consulenti del Lavoro), mancheranno ogni anno circa 133 mila diplomati degli istituti tecnici e professionali e 8.700 laureati, con gap particolarmente rilevanti nel settore medico sanitario. La difficoltà di reperimento del personale da parte delle imprese è in continuo aumento anche a causa dei macro-trend del digitale e del green che richiedono skill specifiche, necessarie per poter governare le transizioni tecnologiche in atto. Un’emergenza che, senza un cambio di rotta, potrebbe costare fino a 37,7 miliardi di euro, con un particolare aumento dei costi per i settori più legati alla stagionalità. Secondo i dati di Unioncamere Excelsior, il mismatch tra domanda e offerta supera la soglia del 50%. Più chance per la formazione terziaria (universitaria e ITS) dove, a fronte di un fabbisogno medio annuo di quasi 253mila risorse, il sistema formativo ne immetterà sul mercato 244mila. Si stima che circa il 70% delle nuove occupazioni attivate grazie ai fondi del Pnrr dovrebbe essere concentrato su quattro filiere: costruzioni e infrastrutture (21%), turismo e commercio (18%), servizi avanzati (16%) e formazione e cultura (13%). I lavori più richiesti tra i diplomati saranno nei prossimi anni quelli in amministrazione, finanza e marketing (83mila), turismo e ristorazione (57mila), meccanica, meccatronica ed energia (55mila). Seguono formazione socio-sanitaria e benessere (33mila) e costruzioni (30mila). Tra i laureati invece, i percorsi più appetibili per il mercato saranno quelli Stem e a seguire, economico statistico, medico sanitario, giuridico e politico sociale.
I baby boomers vanno in pensione
Desta preoccupazione l’uscita dal lavoro dei baby boomers, difficilmente rimpiazzabili dalle nuove generazioni a livello numerico. Secondo l’ultima analisi di Prometeia, che si concentra sugli effetti del declino della popolazione sul mercato del lavoro, l’uscita dal lavoro dei baby boomers che hanno raggiunto l’età del congedo, potrebbe creare un buco di 100mila lavoratori all’anno, in Italia, fino al 2030. Il Paese dovrà sostituire complessivamente circa 500mila lavoratori l’anno che andranno in pensione in questo decennio e il numero di giovani, numericamente più esiguo dei nati tra gli anni 50 e i primi anni 60, potrebbe coprire circa 400mila posti, nel migliore dei casi, in cui l’offerta dei posti di lavoro si allineasse con la domanda.
Mismatch formazione/lavoro
A complicare il quadro, i circa 2 milioni di disoccupati in cerca di impiego e gli inattivi spesso non hanno le competenze richieste dalle aziende. È pur vero che nella maggior parte dei casi le scarse competenze sono concentrate nelle persone più vicine alla pensione, mentre i giovani hanno titoli di studio più alti, ma è altrettanto vero che, non sempre, al titolo corrisponde la preparazione necessaria alle aziende. «È un problema che viene denunciato da anni, si sta quasi cronicizzando – spiega Riccardo Giovani, direttore politiche lavoro di Confartigianato Imprese –. Le cause sono sempre le stesse, dalla denatalità al disallineamento delle competenze richieste dalle aziende e offerte dalla scuola. E resta l’ostracismo culturale delle famiglie soprattutto per le professioni tecniche». Si cercano vie per utilizzare al meglio la forza lavoro derivante dall’immigrazione, con percorsi ad hoc e di lingua e sono state fatte alcune sperimentazioni di scuole professionalizzanti in loco per importare competenze già formate. «Noi come Confartigianato abbiamo avuto esperienze degne di nota in scuole di mestieri in Etiopia, ma non possono essere lasciate alla buona volontà di pochi, devono cooperare le aziende, il mondo associativo e le istituzioni».
A caccia di Stem
Altri dati di rilievo emergono dalla ricerca condotta dall’ Osservatorio Stem “Rethink Ste(a)m education – A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” promosso da Fondazione Deloitte, da cui emerge che in Italia solo il 24,5% dei laureati è Stem e tra le laureate, solo il 15%. Deve essere poi tenuta in considerazione anche la componente settoriale. Nell’industria è occupato il 25% di lavoratori uomini, mentre le donne costituiscono solo il 12%. In contrasto al settore dei servizi – con esclusione del commercio e dell’ospitalità – dove il 68% degli occupati è donna. Questi squilibri andranno a pesare sui meccanismi di sostituzione. Molti dei ragazzi e delle ragazze intervistate rimangono intrappolati in vecchi stereotipi secondo cui le materie Stem sono più difficili e richiedono più tempo e risorse economiche. Persiste l’idea che siano materie non adatte a tutti e, secondo alcuni, non adatte alle ragazze: la ricerca evidenzia infatti che il 50% delle studentesse intervistate riconosce la presenza di stereotipi di genere che disincentivano le donne rispetto all’avvio di un percorso di studi in ambito Stem, mentre il dato scende al 24% se gli intervistati sono studenti maschi.
La riforma degli istituti tecnici e professionali
La politica un passo in avanti lo ha fatto varando la riforma degli istituti tecnici e professionali (L.99/2022) con l’obiettivo di adeguare continuamente i curricula degli studenti alle esigenze in termini di competenze del settore produttivo nazionale orientandoli anche verso le innovazioni introdotte dal Piano nazionale Industria 4.0, in un’ottica di sostenibilità ambientale. La riforma dei tecnici che partirà nel 2024 ridurrà i percorsi da cinque a quattro anni più due anni negli ITS. Punta a rafforzare nei tecnici le competenze Stem, offrire tempi scuola più flessibili, un patto di rete tra gli attori del territorio e un’apertura all’internazionalizzazione. Anche gli istituti professionali saranno coinvolti nel processo di internazionalizzazione, puntando sulla individualizzazione dei percorsi. Una riforma che richiederà docenti ri-formati per stare al passo con le nuove esigenze della scuola.